Capitolo 2

Care Lettrici,

vi scrivo con l’augurio che l’inizio della primavera abbia fatto sbocciare tanti fiorellini dentro di voi. Alcuni magari devono ancora fiorire, ma questa pioggia li nutrirà a dovere.
Da piccola non mi piaceva la pioggia. Mi piacevano i temporali e il bel sole, ma quelle giornate grigie, dove piove e basta, le trovavo noiose. Non potevo andare a fare passeggiate nei boschi, perché era scivoloso; non potevo andare al lago, perché era deprimente. Potevo solo stare tra le quattro mura di casa. Ma forse, sono state proprio quelle giornate grigie a farmi scoprire mondi nuovi.
Essendo cresciuta nel nord Italia vicino alle montagne, in provincia di Varese, la mia vita era fuori, nel paese, nella natura, con gli amici e tra i giochi. Ho avuto bisogno però di scendere a patti con il fatto che non si può sempre vivere: bisogna anche raccogliere le energie per immaginare mondi diversi  e perdersi in essi. La pioggia mi ricorda di prendere un buon libro, oppure di guardare un film ancora da scoprire, mi consiglia che evadere da questo mondo per qualche ora non è una cosa inutile come si possa pensare. Anzi, lo consiglio.

Evadere con la mente, per me, significa spronare il mio essere a immaginare qualcosa che non vedo, che non sento, eppure che nella testa di qualcun altro è esistito e vive.

E’ proprio a questo punto che voglio arrivare in questo secondo articolo della rassegna.

Oggi voglio parlarvi del fatto che, anche quando tutto ci crolla addosso, fuori piove e il mondo sembra andare a scatafascio e ci troviamo nel nostro appartamentino, sole e sconsolate, in verità dobbiamo sempre ricordarci che non siamo mai davvero sole, mai davvero isolate.

Abbiamo un corpo che ha dei limiti. Persino su questo la fisica moderna potrebbe smentirmi: a livello fisico, l’inizio e la fine del nostro corpo sono un’illusione. Gli atomi di cui siamo fatti dialogano con il mondo intorno a noi, si scambiano con l’aria, la luce, la materia. Siamo parte di un continuo flusso invisibile. Nulla è davvero separato. 

Abbiamo una mente. Immaginiamo questa mente come un lago all’interno di una foresta che ci piace. La foresta e la riva del lago rappresentano i nostri pensieri consci, quelli che definiscono chi siamo. non dimentichiamoci però che il lago che sta dentro di noi è talmente profondo che noi, come singole persone, non possiamo tuffarci per scoprire i suoi fondali. Se lo potessimo fare, scopriremmo che il fondo del lago è comune a tutte le menti di questo mondo.
Il lago è ovviamente una rappresentazione del nostro inconscio, mentre il fondale comune è quello che poi verrà definito come Inconscio Collettivo.

Non vi rincuora almeno un poco? A me sì! Anche quando siamo nei meandri della nostra testa, possiamo sentirci raccolte in un fondo che è comune a tutti; possiamo essere sicure che i nostri sogni, le metafore, idee, provengano dalle profondità che condividiamo con altri esseri umani a cui siamo sostanzialmente e indissolubilmente legate.

Detto questo, il sistema sociale di oggi ci ha in qualche modo  incastrato facendoci pensare di essere soli al  mondo, facendoci pensare per uno, invece che per la collettività. detto questo, vi voglio raccontare di periodi storici in cui queste profondità – quelle del lago universale – erano molto più tangibili, anzi, diventavano azioni concrete dimostrate nella società, per quanto il potere e i piani alti cercassero di domarle.

Entrando in tema, prendiamo ad esempio i Sabba, così detti, delle streghe. All’epoca i Sabba erano feste pagane celebrate in quasi tutta Europa. Con la cristianizzazione, sono state anche tramutate in feste, come la festa di Maggio, che altro non era che il Sabba pagano per l’ingresso nella stagione calda.

Queste feste pagane, poi risultate eretiche per chi ha continuato negli anni a celebrarle, erano

importantissimi eventi di ritualizzazione dell’inconscio collettivo.

Era molto utilizzato, all’inizio dell’Alto Medioevo (e quindi nei Sabba), l’uso di erbe e unguenti concepiti per assuefare i sensi ed alterare le coscienze. Infatti, ci sono testimonianze di streghe a processo che dicevano di aver volato: questo altro non è che la preparazione di sostanze allucinogene, come la pomata della strega, che applicata su alcuni punti del corpo (inguine, ascelle, tempie – dove ci sono i linfonodi), poteva dare la sensazione di trance e causare uno stato allucinatorio, tra cui la sensazione di poter volare.

In Europa  la cultura e la conoscenza di queste erbe spontanee è stata censurata, saperi che  non si allontanano molto da altre erbe medicina sparse per il pianeta. Queste piante, al pari di orgie e  balli, non erano altro che trance indotte che permettevano di sentire sulla propria pelle la collettività di cui si faceva parte, e la fantasia sfrenata che prendeva realtà.

La cosa che più mi entusiasma di queste epoche è la mentalità ancora non formata sul razionalismo e sul materialismo delle persone del popolo (e del clero). Se ti capitava di entrare in trance e sentivi di volare, tu avevi volato. Se ti capitava di incontrare una donna dai capelli sciolti e lunghi, vestita di verde, avevi incontrato una fata. Se un uomo vestito di nero, con un cappello, ti invitava a un raduno notturno, il diavolo ti aveva scelta come sua strega.

Non so bene nemmeno come spiegarlo, ma lo trovo estremamente affascinante: il confine, oggi molto meno labile di allora, tra fantasia e realtà, tra mito e vita, tra racconto e vissuto.

Detto questo, ci sono state un sacco di dimostrazioni di come questo inconscio collettivo venisse più facilmente a galla nelle società di un tempo.

Ci sono eventi catalogati dagli storici come epidemie di ballo. Il contagio più esteso è avvenuto nel 1374, dopo la peste nera. Si narra di interi paesi che, presi dall’isteria collettiva, prendevano a ballare – non per qualche ora, ma per giorni e a volte settimane – andando di paese in paese, ballando, spogliandosi, bevendo, 

morendo nel mentre.

Ci sono anche molti casi di mestruazioni collettive, cosa che sappiamo bene indicare un rapporto stretto con la comunità a cui si appartiene: interi paesi o collegi dove tutte le donne mestruavano non solo lo stesso giorno, ma quasi allo stesso istante!

Non so voi, ma quando sento queste notizie penso che dobbiamo recuperare qualcosa di quell’epoca . Almeno quel sentire comune, quel concepirsi come parte di qualcosa, è una tensione intrinseca dell’essere umano e nessuna società ce lo può portare via.

Detto questo, volevo dirvi tante altre cose, ma credo le lascerò per il terzo articolo della rassegna. Intanto vi anticipo che parleremo un po’ più approfonditamente del ruolo della donna nella memoria collettiva e di come riappropriarci di quel posto che ci spetta.

Come compito di questo mese, vi lascio ragionare su come secondo voi potremmo riappropriarci del nostro lago incontaminato. Mi farebbe tanto piacere sentire le vostre idee in merito. Io, nel prossimo articolo, vi esporrò le mie.

Un abbraccio verde, Milena

Post Scriptum

Quasi dimenticavo i consigli del mese!

Assolutamente fondamentale, per sapere di più sul tema, è il libro di Michela Zucca – Donne delinquenti.

Come consiglio di ascolto, vi propongo qualcosa che esula un po’ dalle  musiche che ascolto quotidianamente: Ninos du Brasil. Un gruppo che potrebbe dare inizio a un’epidemia di ballo! 

Il film del mese  è il dolcissimo documentario di quel matto di Werner Herzog: Il diamante bianco.Un film essenziale per farsi trasportare da una voce narrante bavarese nello scoprire le semplicità dell’animo umano e quei luoghi, così importanti nella nostra memoria collettiva, che rimangono invisibili all’occhio umano.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Autore

  • Milena Inge Grigolo

    Sono Milena Inge Grigolo. Ancora non so come definirmi, ma mi piace pensare che in un epoca passata sarei stata un bardo o una cantastorie. Mi piace dipingere e fare scultura, ma il mio medium principale è il video, il mio linguaggio l'ho trovato li dietro una camera a dar senso ai miei sogni. Mi sono formata come attrice e ciò mi ha insegnato molto sulle emozioni e sull’ascoltare il mio corpo, mi piace pensare che l’arte sia necessaria al giorno d’oggi per insieme trovare un immaginario collettivo che ci somigli. Sono un idealista, cresciuta a canti popolari e storie di rivoluzione, credo profondamente che l’unione fa la forza e forse è per quello che faccio un arte così comunitaria.

1 commento su “Capitolo 2”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto